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Una casa a Parigi

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La quarta di copertina non è il massimo (il romanzo sì), ma per dovere di cronaca ve la riporto quasi integralmente (salto giusto le citazioni prese dai giornali esteri):

«Parigi, non sarebbe meraviglioso?».
Parigi è sempre una buona idea, specie quando il matrimonio attraversa acque burrascose e il bisogno di dimenticare un trauma recente accende il desiderio di evadere e di voltare pagina. È così che Mark e Stephanie, affidata la figlioletta ai nonni, partono da Cape Town alla volta della capitale francese, decisi a concedersi una settimana romanticamente perfetta tra pittoreschi bistrot e passeggiate mano nella mano. Ma il “delizioso” nido d’amore promesso dal sito di scambi d’appartamento si rivela molto diverso dalle aspettative; e mentre nulla tra Mark e Steph sembra andare per il verso giusto, a Cape Town non c’è traccia della misteriosa famiglia che avrebbe dovuto installarsi nella villetta dei due. Mano a mano che la vacanza perfetta prende i colori dell’incubo, il sospetto che qualcosa di oscuro possa nascondersi dietro l’intera vicenda si fa strada nella mente di Steph e del lettore. E la chiave di tutto, forse, va cercata nel passato di Mark. Perché non c’è oscurità più terribile di quella che ci portiamo dentro.
In corso di pubblicazione in tredici Paesi e opzionato da Steven Spielberg con l’intenzione di trasformarlo in film, Una casa a Parigi è un formidabile thriller psicologico giocato sul filo della paranoia, dei colpi di scena e della paura.

E ora parliamone.

L’autore di Una casa a Parigi sono in realtà due. In nickname S.L. Grey nasconde infatti una coppia affiatata di scrittori sudafricani, Sarah Lotz e Louis Greenberg. In passato ho già recensito due loro romanzi: Il Manichino e The Ward.
Credevo che proprio Il Manichino fosse l’unica loro opera pubblicata in italiano, ma mi sbagliavo. Nel silenzio assoluto – il che ci fa capire quanto sia provinciale l’informazione sul fantastico nel nostro paese – è infatti arrivato anche un altro loro romanzo del terrore, Una casa a Parigi, appunto. Lo ha pubblicato De Agostini, nella duplice versione cartacea e digitale (quest’ultima a un prezzo poco friendly, ma vabbé).

Il romanzo costituisce un’ottima lettura per il periodo di Halloween o, meglio ancora, costituisce un’ottima lettura e basta, senza paletti temporali.
La storia comprende tutti gli elementi che ho imparato a conoscere nella scrittura del dinamico duo S.L. Grey: ci sono più punti di vista (più POV, ovvero più narratori, in questo caso due), c’è un mistero che si fa largo nella quotidianità, ci sono fattori soprannaturali che, al contempo, potrebbero essere frutto della mente dei protagonisti. C’è anche il sovrapporsi di quelli che sembrano due mondi paralleli, il nostro e un altro, dove fantasmi e altre entità esistono davvero. Quest’ultimo fattore è però meno marcato rispetto a Il Manichino e The Ward.

Una casa a Parigi è una storia che inquieta, e non solo per le tematiche dell’orrore, bensì anche perché sfrutta dei meccanismi psicologici che giocano sulle paure dei lettori che rientrano nel range di età dei due protagonisti.
Se volete, potete acquistarlo su Amazon. Spero così di aver restituito un po’ di giustizia e di visibilità a questo romanzo.
In Italia ci sarebbe bisogno di più romanzi di S.L. Grey, a riprova che la letteratura horror, fuori dal nostro giardinetto, è in salute, matura, coinvolgente, e presente in ogni latitudine del mondo.


Articolo di Alex Girola: https://twitter.com/AlexGirola
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